Si è tenuto il 07 novembre il primo webinar organizzato dalla Fondazione Rigel, insieme alla Prof.ssa Loredana Garlati, esperta di storia del diritto e di processi penali, abbiamo scoperto come è cambiata la percezione della violenza sessuale nel corso della storia.
Per dare la possibilità a tutte le persone interessate di scoprire di più sugli argomenti trattati durante il webinar abbiamo raccolto le domande fatte dai partecipanti e le risposte della Prof.ssa Garlati. Potete leggerle di seguito, mentre in fondo all'articolo troverete la registrazione dell'evento.
Domande e risposte dal webinar "Processo allo Stupro: vittima tra giustizia e pregiudizio” - Avvocato Antonella Ninci, Presidente Fondazione Rigel, in dialogo con la Professoressa Loredana Garlati, Università Bicocca di Milano.
D: Quali sono gli strumenti giuridici e sociali a disposizione per tutelare le vittime di violenza sessuale? Quali sono le criticità e i punti di forza della normativa attuale?
R Prof. Garlati: “Nonostante i progressi degli ultimi anni, la normativa italiana in materia di violenza sessuale presenta ancora delle criticità. Dobbiamo impegnarci a fondo per garantire una maggiore tutela alle vittime, combattere gli stereotipi di genere e diffondere una cultura basata sul rispetto e sul consenso.
Ma la legge da sola non basta. È fondamentale prevenire la violenza attraverso l'educazione. Dobbiamo insegnare ai giovani, fin da piccoli, il valore del rispetto, della parità e dell'ascolto.
Anche la società civile ha un ruolo cruciale: associazioni, centri antiviolenza e singoli cittadini possono fare la differenza, creando una rete di supporto per le vittime e promuovendo una cultura di contrasto alla violenza.
La lotta alla violenza di genere è una sfida che richiede un impegno costante e condiviso da parte di tutti: istituzioni, scuole, famiglie e intera società. Solo insieme possiamo costruire un futuro libero dalla violenza, dove il rispetto e la parità siano valori fondamentali."
D: In che modo la cultura e la società influenzano la percezione della violenza sessuale e il trattamento delle vittime?
R Prof. Garlati: “Purtroppo, nella nostra cultura sono ancora presenti molti stereotipi e pregiudizi sulla violenza sessuale, che finiscono per condizionare il modo in cui trattiamo le vittime.
Spesso si tende a colpevolizzare la vittima, mettendo in discussione il suo comportamento o il suo abbigliamento, come se in qualche modo se la fosse "cercata". Questo atteggiamento, chiamato "victim blaming", è profondamente ingiusto e pericoloso, perché sminuisce la responsabilità dell'aggressore e fa sentire le vittime ancora più sole e vulnerabili.
Anche i media, purtroppo, a volte contribuiscono a diffondere una visione distorta della violenza sessuale, focalizzandosi sui dettagli più scabrosi e tralasciando l'impatto devastante che ha sulle vittime. Questo può portare a una banalizzazione del problema e a una minore sensibilità nei confronti di chi ha subito violenza.
Anche quando una vittima trova il coraggio di denunciare, può incontrare difficoltà nel sistema giudiziario. A volte, gli operatori del diritto possono essere influenzati da stereotipi e pregiudizi, mettendo in dubbio la versione della vittima o minimizzando la gravità del reato.
In più, nella nostra società c'è ancora una tendenza a non parlare apertamente di violenza sessuale. Le vittime spesso si sentono sole, incomprese e hanno paura di essere giudicate. Questo silenzio protegge gli aggressori e impedisce di affrontare il problema in modo efficace.
Tutte queste cose insieme creano un clima in cui le vittime di violenza sessuale si sentono spesso abbandonate e non credute. Questo ha conseguenze gravissime: gli aggressori restano impuniti, le vittime soffrono di traumi profondi e la violenza continua a diffondersi.
Per cambiare le cose, dobbiamo lavorare su più fronti. Dobbiamo educare i giovani al rispetto e alla parità, combattere gli stereotipi, garantire giustizia alle vittime e creare una cultura di supporto e di ascolto. Solo così potremo costruire una società in cui la violenza sessuale non sia più tollerata.”
D: Qual è il ruolo delle nuove tecnologie nella violenza sessuale (ad esempio, revenge porn, cyberstalking)? Come affrontare queste nuove sfide?
R prof. Garlati: “Come ogni strumento potente, anche i social possono essere usati in modo sbagliato, a volte persino per fare del male.
Purtroppo, la violenza sessuale non è scomparsa con l'arrivo di internet, anzi, ha trovato nuovi modi per manifestarsi. Foto intime condivise senza permesso, insulti e minacce online, profili falsi usati per spiare o molestare: sono solo alcuni esempi di come la tecnologia possa diventare un'arma nelle mani di persone aggressive. Il problema è che online tutto sembra più facile, più veloce, più anonimo. Si può ferire una persona con un click, diffondere una foto in pochi secondi, nascondersi dietro un profilo falso. Questo può far sentire gli aggressori al sicuro, come se le loro azioni non avessero conseguenze.
Ma le parole e le immagini che condividiamo online hanno un peso, possono lasciare ferite profonde, rovinare la reputazione di una persona, condizionare la sua vita per sempre. E anche se a volte può sembrare di essere invisibili dietro uno schermo, le nostre azioni online hanno sempre un impatto reale sulla vita delle persone. Per questo è fondamentale imparare a usare i social in modo responsabile e consapevole, usarli con intelligenza, rispetto e responsabilità.
Gli adulti, genitori e insegnanti, hanno un ruolo fondamentale nell'educare i giovani a un uso responsabile dei social. È importante parlare con i ragazzi dei rischi della rete, insegnare loro a proteggersi e a comportarsi in modo corretto online.”
D: Quali sono le prospettive future in termini di legislazione e di tutela delle vittime?
R Prof Garlati: “Beh, la buona notizia è che le cose si stanno muovendo nella direzione giusta! C'è sempre più attenzione al problema della violenza sessuale e si sta lavorando per migliorare le leggi e la protezione delle vittime. Per esempio, si parla di rendere ancora più chiara la definizione di "consenso" nella legge. Con una definizione più precisa, sarà più facile proteggere chi subisce violenza.
Un altro aspetto importante è che le leggi si stanno aggiornando per includere anche le nuove forme di violenza che si manifestano online. Pensa al revenge porn, al cyberstalking, alle molestie sui social... sono cose terribili che possono rovinare la vita delle persone, e la legge deve essere in grado di punire chi le commette.
Anche per quanto riguarda i minori, si sta lavorando per aumentare la protezione, sia nella vita reale che online. I bambini e i ragazzi sono più vulnerabili e hanno bisogno di essere tutelati in modo particolare.
Ma non basta cambiare le leggi, bisogna anche fare in modo che chi le applica sia preparato ad affrontare il problema della violenza sessuale. Per questo, è importante che magistrati, avvocati, poliziotti e medici ricevano una formazione specifica, che li aiuti a capire le esigenze delle vittime e a trattarle con rispetto. E questo sta accadendo da anni.
E poi, ovviamente, non dobbiamo dimenticare la prevenzione. Bisogna educare i giovani al rispetto, alla parità e al consenso fin da piccoli, perché capiscano che la violenza non è mai accettabile. E anche i media devono fare la loro parte, rappresentando la violenza sessuale in modo responsabile e dando voce alle vittime.
Infine, è fondamentale che le vittime di violenza sessuale sappiano di non essere sole.
Insomma, la strada è ancora lunga, ma ci sono tanti segnali positivi. Se continuiamo a lavorare insieme, con impegno e determinazione, possiamo creare una società più giusta e sicura per tutti.”
D: Quali sono le principali attività che la Fondazione Rigel svolge nell'ambito del contrasto alla violenza di genere?
R Fondazione Rigel: “La Fondazione Rigel si impegna su più fronti per contrastare la violenza di genere, combinando formazione, sensibilizzazione, supporto alle vittime e promozione di politiche e normative a favore della parità di genere. Fondazione Rigel si dà da fare anche per cambiare le leggi e le politiche, quelle cose scritte che a volte sembrano lontane dalla vita di tutti i giorni, ma che in realtà sono importanti per garantire i diritti di tutti. Ci battiamo perché le leggi siano più giuste e proteggano meglio le vittime di violenza un po' come un facilitatore, un portavoce, che lavora senza sosta per creare una società più giusta e libera dalla violenza di genere.”
D: La definizione di consenso è cambiato? O ancora la legge italiana si basa sulla "violenza" e la "minaccia" per configurare il reato di violenza sessuale. Questo può rendere difficile provare l'assenza di consenso in casi in cui non ci siano segni evidenti di violenza fisica, come ad esempio nei casi di coercizione psicologica o abuso di potere?
R Prof Garlati: “Immagina che la legge sia un po' come un gioco con delle regole. Prima, le regole sulla violenza sessuale dicevano che per essere considerato un reato, doveva esserci per forza violenza fisica o minacce. Era come dire che se qualcuno ti costringeva a fare sesso senza picchiarti o minacciarti, allora non era un vero crimine.
Per fortuna, le cose sono cambiate. Ora la legge dice che la violenza sessuale è un crimine anche se non ci sono botte o minacce. Il punto è che nessuno può costringerti a fare sesso contro la tua volontà, in nessun modo.
Però, c'è un problema. La legge non spiega esattamente cosa vuol dire "volontà". È un po' come se nel gioco ci fosse una regola che dice "non si può barare", ma nessuno spiega cosa significa "barare" esattamente.
Questo può creare confusione, soprattutto quando non ci sono segni di violenza fisica. Se qualcuno ti obbliga a fare sesso con la forza, è facile dimostrare che non eri d'accordo. Ma se qualcuno ti convince con le parole, o ti fa sentire in trappola, o approfitta del suo potere su di te, come fai a dimostrare che non volevi davvero?
Purtroppo, in questi casi può essere difficile ottenere giustizia. La legge sta cercando di migliorare, ma c'è ancora molta strada da fare. L'importante è che si inizi a parlare di questi problemi, a capire che la violenza sessuale può avere tante forme diverse, e che nessuno dovrebbe essere costretto a fare sesso contro la propria volontà, in nessun modo.”
D: Quali strategie di prevenzione possono essere messe in atto per contrastare la violenza sessuale e promuovere una cultura del rispetto?
R Fondazione Rigel: “Come si fa a prevenire la violenza? Beh, prima di tutto dobbiamo educare i ragazzi fin da piccoli. È come insegnare loro a lavarsi le mani prima di mangiare: un gesto semplice che può evitare tanti problemi. Dobbiamo spiegare ai bambini e ai ragazzi cos'è il rispetto, l'uguaglianza e il consenso. Devono imparare che il loro corpo è prezioso e che nessuno può toccarlo senza il loro permesso. E devono sentirsi liberi di dire di "no" quando qualcosa non gli va bene, senza paura.
Anche gli adulti, come genitori e insegnanti, hanno un ruolo importante. Devono essere preparati ad affrontare questi temi con i ragazzi, a rispondere alle loro domande, a guidarli nella crescita. Sono come dei dottori che ci spiegano come stare bene e come proteggerci.
Ma non basta educare, bisogna anche sensibilizzare tutta la società. È come fare una campagna pubblicitaria per convincere le persone a vaccinarsi: dobbiamo far capire a tutti che la violenza sessuale è un problema grave e che ognuno di noi può fare la differenza. Possiamo usare i social media, la televisione, i giornali, per diffondere messaggi positivi e combattere gli stereotipi che ancora esistono.
Infine, dobbiamo pensare a strategie specifiche per i diversi tipi di violenza. Dobbiamo trovare il modo di prevenire la violenza online, di rendere gli spazi pubblici più sicuri, di insegnare ai ragazzi a usare i social in modo responsabile.
Insomma, per prevenire la violenza sessuale dobbiamo lavorare tutti insieme, come una grande squadra. È un compito impegnativo, ma se ognuno fa la sua parte, con impegno e determinazione, possiamo costruire un mondo più sicuro e rispettoso per tutti.”
D: Come pensate di dare seguito a questo webinar? Ci saranno altri eventi o iniziative concrete per tramutare le riflessioni in azioni concrete?
R Fondazione Rigel: “In Fondazione Rigel crediamo fermamente che la sensibilizzazione sia solo il primo passo per generare un cambiamento concreto. Il webinar "Processo allo Stupro" è stato solo l'inizio di un percorso che ci vedrà impegnati in prima linea nella lotta alla violenza di genere. Crediamo fermamente che, attraverso la collaborazione e l'azione congiunta, possiamo costruire una società più giusta, equa e rispettosa per tutte e tutti.
Per questo, abbiamo in programma diverse iniziative per dare seguito al webinar "Processo allo Stupro" e trasformare le riflessioni in azioni concrete:
Pubblicazione degli atti del webinar: renderemo disponibili online i materiali e le slide presentate dalla Professoressa Garlati, in modo che possano essere consultati e diffusi
Organizzazione di nuovi webinar e workshop con la partecipazione di esperti e professionisti.
Collaborazione con le scuole: progetteremo e realizzeremo interventi di sensibilizzazione nelle scuole, per educare i giovani al rispetto, alla parità di genere e al consenso.
Partecipazione a tavoli di lavoro: collaboreremo con le istituzioni e le altre organizzazioni del settore per elaborare strategie condivise di prevenzione e contrasto alla violenza di genere.
Potenziamento della nostra rete di supporto: La nostra forza è nella collaborazione! Più persone aderiscono alla Fondazione Rigel, più la nostra rete di supporto diventa forte e capace di aiutare chi ne ha bisogno. Dacci il tuo supporto, parla dei nostri valori con i tuoi amici, partecipa ai prossimi webinar e invita anche loro. Insieme, solo tutti insieme, possiamo cambiare la società.”
D: Sono convinta che tutti gli operatori che si occupano di persone che abbiano subito una violenza sessuale (magistrati compresi) dovrebbero lavorare su di sé per superare eventuali pregiudizi legati all’educazione e ai modelli culturali che, anche in modo inconscio, li possano indurre ad attuare forme di vittimizzazione secondaria. Condivide?
R Prof Garlati: “L'auto-riflessione è un passo fondamentale per chi lavora con le vittime di violenza sessuale. Pensa a quanto sia delicato questo compito: accogliere una persona ferita, ascoltare la sua storia, aiutarla a rimettere insieme i pezzi. E in tutto questo, è fondamentale non aggiungere altro dolore con giudizi o pregiudizi. Chi lavora con le vittime di violenza sessuale deve essere disposto a guardarsi dentro, a mettere in discussione le proprie convinzioni, a riconoscere i propri pregiudizi. È un lavoro difficile, ma necessario, per poter offrire un aiuto veramente efficace e rispettoso.
Chi si occupa di violenza sessuale deve "pulire" la propria mente da pregiudizi e stereotipi, per non rischiare di "infettare" la vittima con altro dolore. E non basta farlo una volta sola! È un impegno continuo, un percorso di crescita personale e professionale che dura tutta la vita. Bisogna studiare, informarsi, confrontarsi con gli altri, per essere sempre più consapevoli e preparati ad aiutare chi ha bisogno.
Negli ultimi anni c'è stata una crescente attenzione alla formazione di magistrati e forze dell'ordine per quanto riguarda l'accoglienza e la gestione dei casi di violenza sessuale. la formazione di magistrati e forze dell'ordine è un elemento cruciale per garantire una risposta efficace e rispettosa alle vittime di violenza sessuale. L'obiettivo è quello di creare un sistema di giustizia che sia in grado di tutelare le vittime, punire i colpevoli e prevenire la violenza di genere. Solo così possiamo garantire un aiuto veramente efficace, rispettoso e libero da pregiudizi.”
D: In che modo la Fondazione si coordina con le istituzioni e le altre realtà del terzo settore per massimizzare l'efficacia degli interventi?
R Fondazione Rigel: “La Fondazione Rigel, per massimizzare l'efficacia dei suoi interventi nel contrasto alla violenza di genere, adotta un approccio collaborativo e di rete, coordinandosi con le istituzioni e le altre realtà del terzo settore con la partecipazione a tavoli di lavoro, la condivisione di informazioni e l'advocacy.”
D: Come si può garantire una maggiore tutela della vittima nel processo penale, evitando la ri-traumatizzazione?
R Prof Garlati: “Per fortuna, ci sono sempre più persone che si impegnano per cambiare le cose. Magistrati e forze dell'ordine fanno dei corsi speciali per imparare a capire meglio le vittime di violenza e a trattarle con la delicatezza che meritano.
Anche il processo stesso può essere migliorato. Si potrebbero creare degli spazi più accoglienti in tribunale, dove la vittima si senta più protetta, e si potrebbe evitare di farle raccontare la sua storia troppe volte, per non farle rivivere il trauma.
Insomma, ci sono tante cose che si possono fare per rendere il processo meno doloroso per la vittima. L'importante è che tutti, dalle istituzioni alle singole persone, si impegnino a creare un sistema più giusto e umano, dove chi ha subito violenza possa trovare oltre la giustizia anche accoglienza e rispetto.”
D: Mi interesserebbe sapere come vede la professoressa Garlati il processo Pelicot in corso in questi giorni in Francia e come potrebbe impattare sulla "cultura del rispetto" che ancora fa così fatica a emergere
R Prof Garlati: “Il processo Pelicot in Francia è una storia davvero terribile, che ci fa capire quanto sia importante lottare contro la violenza sulle donne. Gisèle Pelicot, la vittima, ha vissuto un incubo per anni: il marito la drogava e poi la violentava, insieme a tanti altri uomini.
Questa storia fa venire i brividi, ma è importante che se ne parli, perché può aiutarci a cambiare le cose. Gisèle è stata coraggiosa a denunciare e a raccontare quello che le è successo, anche se è stato difficilissimo. Grazie a lei, tante altre donne che hanno subito violenza potrebbero trovare la forza di parlare e di chiedere aiuto.
A volte, si pensa che la violenza sessuale avvenga solo per strada, da parte di sconosciuti. Ma non è così. Può succedere anche in casa, da parte di persone che conosciamo e di cui ci fidiamo. La storia di Gisèle ci ricorda che non dobbiamo mai vergognarci di chiedere aiuto se ne abbiamo bisogno.
Questo processo ci fa capire anche che le leggi non sono ancora perfette. In Francia, come in Italia, ci sono ancora delle cose da cambiare per proteggere meglio le vittime di violenza. Per esempio, bisogna spiegare meglio cosa significa "consenso", perché nessuno possa essere costretto a fare sesso contro la propria volontà.
L'attenzione mediatica può aiutare a rompere il silenzio e a sensibilizzare l'opinione pubblica sulla violenza sessuale. Le persone sentono parlare di questa storia, si indignano, riflettono, e questo può contribuire a cambiare la mentalità e a creare una cultura del rispetto. Inoltre, la pressione mediatica può spingere le istituzioni ad agire, a migliorare le leggi, a dare più sostegno alle vittime. È come se i media fossero un megafono che amplifica la voce di chi chiede giustizia.
Ma c'è anche un lato oscuro. I media, a volte, cercano lo scoop, il sensazionalismo. Rischiamo di vedere la storia di Gisèle Pelicot trasformata in un film horror, con dettagli scabrosi e immagini forti che puntano solo a scioccare il pubblico. Questo può essere molto dannoso per la vittima, che si sente ancora più esposta e violata nella sua intimità. Inoltre, c'è il rischio che il processo diventi un circo mediatico, dove tutti parlano di Gisèle, ma nessuno la ascolta veramente.
Per questo è importante che i media si comportino in modo responsabile. Devono raccontare la storia di Gisèle con rispetto, senza sensazionalismo, dando voce alla vittima e aiutando le persone a capire la gravità della violenza sessuale.
La storia di Gisèle è un pugno nello stomaco, ma può essere anche un'occasione per cambiare le cose. Se ne parliamo, se ci indigniamo, se chiediamo giustizia, possiamo contribuire a creare una società più giusta e rispettosa, dove la violenza non abbia più spazio.
Dobbiamo solo impegnarci tutti insieme, con coraggio e determinazione.”
D: Quale è il ruolo dei giornalisti in questa vittimizzazione secondaria? Posso avere esempi attuali dove l'informazione sbaglia?
R Fondazione Rigel: “Il ruolo dei giornalisti nel raccontare la violenza sessuale è cruciale. Un'informazione responsabile e rispettosa può contribuire a sensibilizzare l'opinione pubblica e a promuovere una cultura del rispetto, mentre un'informazione sensazionalistica e stereotipata può amplificare il trauma delle vittime e ostacolare la lotta alla violenza di genere. Un'informazione responsabile e rispettosa può contribuire a creare una società più giusta e sicura per tutti.
Come Fondazione cercheremo nel futuro di Collaborare con le scuole di giornalismo: per integrare la formazione dei futuri giornalisti con moduli specifici sulla violenza di genere e sulla comunicazione sensibile; Diffondere esempi positivi: dare visibilità a reportage, articoli e inchieste che trattano il tema della violenza di genere in modo etico e rispettoso; Creare una rete di giornalisti sensibili: favorire la creazione di una rete di giornalisti impegnati a raccontare la violenza sessuale in modo responsabile, per promuovere lo scambio di buone pratiche e la collaborazione.”
D: Lei ha citato molto i suoi studenti. Quali sono le metodologie più efficaci per affrontare questi temi con i giovani, in modo da promuovere relazioni sane e rispettose?
Qual è il ruolo delle famiglie nell'educazione al consenso e alla prevenzione della violenza sessuale?
R Prof Garlati: “Affrontare temi come la violenza di genere e la promozione di relazioni sane e rispettose con i giovani richiede un approccio delicato, empatico e partecipativo. E’ fondamentale il ruolo dei genitori, della famiglia e anche della scuola nella “giovane età’”. La famiglia gioca un ruolo fondamentale nella prevenzione della violenza di genere e nella promozione di relazioni sane e rispettose. È il primo luogo in cui i bambini imparano a relazionarsi con gli altri, a gestire le emozioni e a sviluppare i propri valori.
La famiglia deve trasmettere ai figli i valori del rispetto, dell'uguaglianza e della non violenza. È importante che i bambini imparino fin da piccoli che tutti gli individui meritano rispetto, indipendentemente dal genere, dall'orientamento sessuale o da qualsiasi altra caratteristica personale.
Insegnare ai figli a comunicare in modo efficace, ad ascoltare gli altri e ad esprimere i propri bisogni e i propri limiti in modo assertivo e rispettoso. Aiutare i figli a riconoscere e gestire le proprie emozioni, in particolare la rabbia e la frustrazione, per prevenire comportamenti aggressivi. I genitori dovrebbero partecipare attivamente alla vita scolastica dei figli e collaborare con gli insegnanti per promuovere un ambiente educativo sano e rispettoso”
R Fondazione Rigel: “Vorremo creare nei prossimi mesi delle Pillole o webinar per tutti i nostri Aderenti e Sostenitori dove esperti danno consigli e rispondono alle domande dei genitori. Si potrebbe parlare di come i media influenzano i ragazzi, di come insegnare loro a gestire le emozioni, a comunicare in modo efficace e a risolvere i conflitti pacificamente.
Un contributo importante per creare una società più rispettosa e libera dalla violenza, partendo proprio dalle famiglie e dall'educazione dei più giovani.”
D: come si dovrà procedere ora che l'imputato è minorenne?
R Prof Garlati: “Il caso a cui ti riferisci è tragico e complesso, e solleva molte questioni disturbanti riguardo al possesso, alla gelosia e alla violenza nelle relazioni, soprattutto tra giovani. Questo caso evidenzia la necessità di un'educazione sentimentale e sessuale adeguata fin dalla giovane età. I ragazzi devono imparare il significato del rispetto, del consenso e dell'uguaglianza nelle relazioni. Devono capire che l'amore non è possesso, e che la gelosia non giustifica mai la violenza.
È necessario contrastare la cultura del possesso e della gelosia, che spesso si radica in stereotipi di genere e in modelli relazionali disfunzionali.”
R Fondazione Rigel: “Questo caso tragico ci ricorda che la violenza di genere è un problema complesso e multifattoriale, che richiede un impegno a 360 gradi da parte di tutta la società. Solo attraverso un'azione coordinata e a lungo termine possiamo creare una cultura del rispetto e proteggere i giovani dalla violenza.
Cosa si può fare concretamente?
Promuovere l'educazione sentimentale e sessuale nelle scuole: integrare i programmi scolastici con percorsi specifici su questi temi, con il coinvolgimento di esperti e professionisti.
Sensibilizzare i giovani: attraverso campagne informative, eventi e attività culturali, sui temi della violenza di genere, del rispetto e del consenso.
Formare gli adulti: offrire percorsi di formazione a genitori, insegnanti e operatori che lavorano con i giovani, per aiutarli a riconoscere e affrontare le situazioni di rischio.”
D: Come possiamo, ognuno nel nostro piccolo, contribuire a diffondere una cultura del rispetto e a prevenire la violenza sessuale?
R Prof Garlati: “È una domanda fondamentale, perché la lotta alla violenza di genere è una responsabilità collettiva. Ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare la differenza:
Informiamoci: Leggiamo, studiamo, approfondiamo il tema della violenza di genere, per comprenderne le cause, le dinamiche e le conseguenze.
Mettiamo in discussione i pregiudizi: Sfidare gli stereotipi di genere e le idee che giustificano o minimizzano la violenza.
Parliamo con i giovani: Con i nostri figli, nipoti, studenti, amici, apriamo un dialogo sul rispetto, sul consenso, sull'importanza di relazioni sane.
Diamo il buon esempio: Nelle nostre relazioni, adottiamo comportamenti rispettosi, basati sull'ascolto e sull'uguaglianza.
Insegnare ai giovani: a usare i social media e internet in modo responsabile, rispettoso e consapevole dei rischi.
Utilizziamo un linguaggio inclusivo: Evitiamo parole e frasi sessiste o discriminatorie.
Sosteniamo le organizzazioni che si battono contro la violenza di genere: Con donazioni, volontariato o semplicemente diffondendo le loro iniziative.
R Fondazione Rigel: “Aggiungo: Ricordiamoci: la violenza di genere non è un problema privato: È un problema sociale che ci riguarda tutti. Il cambiamento è possibile: Ma richiede l'impegno di ciascuno di noi. Anche un piccolo gesto può fare la differenza: Non sottovalutiamo il potere delle nostre azioni quotidiane. Insieme, possiamo costruire una società più giusta, rispettosa e libera dalla violenza.”
D: quanto potrebbe aiutare portare nelle scuole elementari e medie persone qualificate per parlare di sessuoaffettività? trasmettere quindi una cultura del rispetto per l'altro diverso da me ed una conoscenza del corpo e delle emozioni equilibrata, corretta
R Fondazione Rigel: “Portare persone qualificate nelle scuole elementari e medie per parlare di sessuoaffettività è un investimento fondamentale per il futuro dei giovani e della società. Contribuisce a creare una cultura del rispetto, a prevenire la violenza e a promuovere il benessere e la felicità di tutti. E’ un obiettivo non solo realizzabile, ma direi anche urgente e necessario. Cosa serve per rendere questo progetto realtà?
Volontà politica: È necessario un impegno da parte delle istituzioni per integrare l'educazione sessuoaffettiva nei programmi scolastici.
Formazione degli insegnanti: Gli insegnanti devono ricevere una formazione adeguata per affrontare questi temi in modo competente e sensibile.
Coinvolgimento delle famiglie: È importante coinvolgere le famiglie nel progetto, per creare un clima di collaborazione e di fiducia.
Risorse economiche: Servono risorse economiche per finanziare la formazione degli insegnanti, la creazione di materiali didattici e l'organizzazione di eventi.
La Fondazione Rigel può giocare un ruolo importante in questo processo:
Promuovendo l'educazione sessuoaffettiva: attraverso campagne di sensibilizzazione, eventi e pubblicazioni.
Fornendo supporto alle scuole: con la creazione di materiali didattici e percorsi formativi per gli insegnanti.
In conclusione, portare l'educazione sessuoaffettiva nelle scuole elementari e medie è un obiettivo ambizioso ma realizzabile. Con l'impegno di tutti, possiamo creare una società più consapevole, rispettosa e libera dalla violenza. Di nuovo abbiamo bisogno di tutti come aderenti e sostenitori della Fondazione.”
D: Nel 2019 si è tenuta una mostra itinerante intitolata "Com'eri vestita?". Conteneva dei vestiti di alcune vittime di stupro con accanto una targa riportante alcune domande poste nei tribunali. Mi colpì quella di una bambina di 8 anni violentata dallo zio nella quale l'avvocato ha chiesto alla piccola se fosse stata "particolarmente affettuosa con lo zio" per indurlo ad abusare di lei.
R Prof Garlati: “La mostra itinerante "Com'eri vestita?" è un pugno nello stomaco, un modo potente per denunciare la cultura dello stupro e i pregiudizi che ancora oggi circondano la violenza sessuale.
L'episodio che citi, quello della bambina di 8 anni violentata dallo zio e interrogata sulla sua "affettuosità" nei suoi confronti, è agghiacciante e rappresenta in modo emblematico quanto sia ancora diffusa la tendenza a colpevolizzare la vittima, persino quando si tratta di una bambina. La domanda posta alla bambina di 8 anni ("se fosse stata particolarmente affettuosa con lo zio") è un esempio terribile di come la vittima venga ingiustamente incolpata e di come gli stereotipi di genere influenzino negativamente la percezione della violenza sessuale.
Invece di concentrare l'attenzione sull'aggressore e sulla sua responsabilità, si sposta il focus sulla vittima, insinuando che il suo comportamento possa aver in qualche modo "provocato" l'abuso. Questo è inaccettabile, soprattutto quando si tratta di una bambina.
La mostra "Com'eri vestita?" è un'iniziativa importante proprio perché mette in luce questi meccanismi perversi e ci spinge a riflettere sulla necessità di un cambiamento culturale profondo. Grazie di avercela ricordata.”
D: Quanto i social possono aver influito negativamente sulle relazioni interpersonali e di "coppia", soprattutto nelle giovani generazioni?
R Prof Garlati: “Certo, i rischi ci sono, ma credo che dipenda tutto da come si usano i social. Se si impara a usarli con equilibrio, rispetto e consapevolezza, possono diventare un alleato prezioso per costruire relazioni sane e durature.
In conclusione: non demonizziamo i social! Possono essere uno strumento potente per connettersi, comunicare e rafforzare i legami affettivi, anche tra le giovani coppie. L'importante è usarli con intelligenza e responsabilità.”
D: Poi arrivano giudici come quelli del tribunale di Brescia che hanno assolto ex marito bangladese per violenze e maltrattamenti in danno della moglie, in quato ritenute «il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge».
R Prof Garlati: “La sentenza del tribunale di Brescia che hai citato solleva un dibattito molto importante e complesso sul ruolo della cultura nel contesto della violenza di genere.
Da un lato, è fondamentale riconoscere e rispettare le differenze culturali. Dall'altro, non possiamo permettere che la cultura diventi uno scudo per giustificare comportamenti violenti e discriminatori.
I diritti umani, come il diritto alla vita, alla libertà e all'integrità fisica, sono universali e inalienabili. Nessuna cultura può giustificare la violazione di questi diritti.
La violenza di genere è un problema strutturale, radicato in una cultura di disuguaglianza e di dominio maschile. Non si tratta di un fenomeno limitato a specifiche culture o paesi, ma di un problema globale che richiede un'azione a livello internazionale.
Il relativismo culturale, se portato all'estremo, può diventare una forma di giustificazionismo della violenza. Non possiamo accettare che la cultura diventi un alibi per comportamenti che ledono i diritti fondamentali delle persone. Negare la giustizia alle vittime in nome del "rispetto" per la cultura dell'aggressore è una forma di discriminazione e di vittimizzazione secondaria.
In conclusione, il caso del tribunale di Brescia ci ricorda che la lotta alla violenza di genere è una sfida complessa, che richiede un impegno costante e un'azione a più livelli. Dobbiamo promuovere un dialogo interculturale che rispetti i diritti umani, contrastare gli stereotipi di genere, garantire la giustizia alle vittime e educare all'uguaglianza e al rispetto. Solo così possiamo costruire una società più giusta e libera dalla violenza.”
D: Non una domanda ma una semplice condivisione. Un film d'essai francese "L'amour violee", fine anni '70...difficile da reperire ma vale la pena. Nel solco di quanto detto dalla professoressa Garlati. Grazie per questo incontro.
R Fondazione Rigel: “Grazie a te per la condivisione e per aver partecipato al webinar! "L'amour violé" è un film che affronta il tema della violenza sessuale con grande sensibilità e realismo, anticipando molte delle riflessioni che ancora oggi sono al centro del dibattito.
È significativo che un film di fine anni '70 abbia saputo cogliere la complessità di questo tema, mettendo in luce gli aspetti psicologici, sociali e culturali che lo circondano. Proprio come ha sottolineato la Professoressa Garlati, la violenza sessuale non è solo un atto fisico, ma una profonda violazione dell'integrità e della dignità della persona.
"L'amour violé" ci ricorda l'importanza di continuare a parlare di violenza di genere, di sensibilizzare l'opinione pubblica e di promuovere una cultura del rispetto. Il cinema, come l'arte in generale, può essere un potente strumento di riflessione e di cambiamento sociale.
Grazie ancora per il tuo contributo e per averci segnalato questo film. Speriamo che sempre più persone possano vederlo e riflettere sul suo messaggio importante.”
D: Il problema è culturale. Bisogna educare i ragazzi/e, bambini/e, uomini e donne al rispetto della libertà di autodeterminazione e scelta di tutti. Quali iniziative diffuse in tal senso si possono organizzare e proporre per arginare anche l'indifferenza che in ordine alla grave tematica comunque sussiste?
R Prof Garlati: “Hai perfettamente ragione, il problema è profondamente culturale e l'educazione al rispetto e all'autodeterminazione è fondamentale per combattere la violenza di genere e l'indifferenza che la circonda. L'educazione è fondamentale: per prevenire la violenza e promuovere una cultura del rispetto.”
D: Oltre alle iniziative "informative" sul tipo di reato, sarebbe utile incentivare tanto a tutte le età approfondimenti contro l'assuefazione all'indifferenza alla non empatia causa aridità emotiva?
R Prof Garlati: “Assolutamente sì. Oltre a informare sul reato in sé, è fondamentale contrastare l'indifferenza e la mancanza di empatia che spesso lo circondano. L'assuefazione a queste "aridità emotive", come le definisci tu, è un terreno fertile per la violenza di genere e per qualsiasi forma di abuso.
Una mia riflessione personale su come farlo oltre a tutto ciò che abbiamo già detto. L’Auto-osservazione, incoraggiare cioè le persone a riflettere sui propri comportamenti e sulle proprie emozioni, per identificare eventuali atteggiamenti di indifferenza o di mancanza di empatia. E poi cerchiamo di stimolare l'ascolto attivo e la comprensione degli altri, mettendosi nei loro panni e cercando di capire il loro punto di vista.
Contrastare l'indifferenza e l'aridità emotiva è un processo a lungo termine che richiede un impegno costante da parte di tutti. Ma è un investimento fondamentale per costruire una società più umana, solidale e giusta.”
D: la mancanza di certezza della pena può incentivare i comportamenti maschili?
R Prof Garlati: “È un'affermazione delicata e complessa. Da un lato, la certezza della pena è un principio fondamentale del diritto penale, che ha lo scopo di dissuadere dal commettere reati. Dall'altro, ridurre la violenza di genere a un problema di "certezza della pena" rischia di semplificare eccessivamente un fenomeno multifattoriale e profondamente radicato nella cultura.
La violenza di genere è spesso radicata in una cultura patriarcale che legittima il dominio maschile e la disuguaglianza tra i sessi. Così come gli stereotipi di genere, che attribuiscono ruoli e comportamenti diversi a uomini e donne, possono contribuire a giustificare la violenza maschile.
L’abbiamo più volte detto, l'assenza di un'educazione adeguata al rispetto, all'uguaglianza e al consenso può favorire comportamenti violenti e discriminatori.
La certezza della pena può avere un effetto dissuasivo, scoraggiando alcuni individui dal commettere reati. Tuttavia, l'efficacia di questo effetto è limitata, soprattutto per i reati impulsivi o commessi sotto l'effetto di sostanze.
La certezza della pena è un elemento importante nel contrasto alla violenza di genere, ma non è la soluzione unica. È necessario un approccio multifattoriale che includa la prevenzione, l'educazione, il supporto alle vittime e un cambiamento culturale profondo. Solo così possiamo creare una società più giusta e libera dalla violenza.”
***
Conclusione Fondazione Rigel: “È stato un vero piacere confrontarci con voi su questi temi così importanti e complessi. Il vostro interesse e la vostra partecipazione attiva dimostrano quanto sia cruciale sensibilizzare e informare sulla violenza di genere, promuovendo una cultura del rispetto.
Come Fondazione Rigel, ci impegniamo quotidianamente a costruire una società più giusta ed equa, dove ogni individuo possa sentirsi libero e sicuro. Crediamo nell'importanza della formazione, dell'educazione e del dialogo come strumenti per combattere gli stereotipi di genere, prevenire la violenza e supportare le vittime.
Il dibattito di oggi ha messo in luce la necessità di un'azione a più livelli, che coinvolga le istituzioni, la scuola, le famiglie e l'intera società. Dobbiamo lavorare insieme per:
Educare al rispetto e al consenso fin dalla giovane età.
Garantire una maggiore tutela alle vittime nel processo penale.
Contrastare l'indifferenza e promuovere l'empatia.
Sfidare gli stereotipi di genere e la cultura dello stupro.
Promuovere un uso responsabile delle nuove tecnologie.
Sostenere le organizzazioni che si battono contro la violenza di genere.
Il percorso è ancora lungo, ma siamo convinti che, con l'impegno di tutti, possiamo creare un futuro libero dalla violenza, dove il rispetto e l'uguaglianza siano valori fondamentali.
Unisciti anche tu alla Fondazione Rigel! Scopri sulla pagina dedicata come puoi contribuire alla nostra missione. Insieme, possiamo fare la differenza.
Grazie ancora per la partecipazione e per aver condiviso con noi le tue riflessioni. Continuiamo a lavorare insieme per costruire una società migliore!
A presto,
Fondazione Rigel
N.B. Per questioni di copyright nel video non è presente l'estratto presentato dalla relatrice di Processo per stupro, il documentario andato in ondata sulla RAI nel 1979. Potete vedere il video direttamente su RaiPlay cercando Processo per stupro: l'arringa di Lagostena Bassi.
Comentários